Diritto di morire o libertà di vivere? Eutanasia o accanimento terapeutico? Autodeterminazione o alleanza? Il confronto serio e costruttivo con tutti i protagonisti del dibattito in corso passa da una condizione preliminare: intendersi sulle parole. Mario Melazzini è malato di Sla ma non vuole morire: “Io non ho mai sentito dire ai malati che hanno provato sulla loro pelle determinate sensazioni: non voglio che mi sia fatto questo trattamento, voglio morire a tutti i costi”. Secondo Melazzini, che in questo libro riflette sui pregiudizi del dualismo”sano/malato”, siamo di fronte a una società folle, che perso di vista la posta in gioco, il senso del vivere e del morire. Al fondo del dibattito sta il vero problema, la disabilità come nuova frontiera della giustizia: “Perché noi malati non possiamo essere liberi di vivere? Perché le nostre città sono disseminate di barriere architettoniche? Questo dimostra che siamo di fatto degli emarginati. La fragilità e la malattia diventano veicoli di isolamento sociale”. (Liberamente tratto dalla rivista “Notiziario Aisla”, ottobre 2008. L’articolo riprende brani del libro di Mario Melazzini, Ma che cosa ho di diverso? Conversazioni sul dolore, la malattia e la vita, a cura di Marco Burni, Edizioni San Paolo, 2008.)
Intervista a Mario Melazzini: Io, la sclerosi, le staminali e la morte dignitosa.
La scoperta della malattia, la trafila come un paziente qualsiasi, la disperazione, il pensiero del suicidio. Poi l'accettazione del male e una nuova forza interiore. Al servizio degli altri. I malati di tumore in lotta con leucemie e linfomi qualche speranza di guarigione almeno ce l'hanno fino a quando l'ematologo Mario Melazzini, 47 anni, primario del day hospital oncologico, continuerà a girare sorridente fra loro in camice bianco, a entrare nelle camere sulla sedia a rotelle munita di motore e clacson, a dettare diagnosi con voce ogni giorno più gutturale, a prescrivere terapie puntando una alla volta le lettere sulla video tastiera per disabili del pc con l'unico dito che ancora non si è ribellato ai comandi muscolari. Che cosa le ha tolto la Sla? A parte la motricità, nulla. Anzi, mi ha dato tantissimo. Mi ha fato percepire quanto la medicina sia impotente di fronte alle malattie. Mi ha insegnato a chiedere aiuto. Chi l’avrebbe mai detto che un giorno mi sarei soffocato sorseggiando un bicchiere d’acqua? Dal modo in cui uno s’occupa di te capisci d’esistere. C’è stato un momento in cui non amavo più la vita perché mi pareva fatta solo di atti materiali. Come ha scritto Tiziano Terzani, dovremo cercare un farmaco per la mortalità, imparare a distaccarci dal nostro corpo.
Quali cambiamenti le ha imposto? Per me la montagna era ed è tutto. Non poter più camminare,sciare, arrampicarmi…Una rabbia. Ma poi la mente umana ha la capacità di adattarsi, quando si è motivati. Certo, essendo coinvolti i muscoli della masticazione e della deglutizione, ho dovuto dire addio ai piaceri del cibo. Da due anni mi nutro attraverso la Peg, gastronomia endoscopica per cutanea. Ogni tanto mia moglie mi prepara una tazzina di caffè addensato o un frullato di mela, giusto per farmi sentire sulla lingua un sapore diverso dalle sostanze che mi sparano nella pancia attraverso la sonda. Non capisco perché siano tutte aromatizzate alla vaniglia.
Ma come fa dallo stomaco ad arrivare il gusto in bocca? E il reflusso gastroesofageo dove lo mette? Solo ruttini vanigliati: Dopo un po’ non se ne può più.
Quanto ci impiega a nutrirsi? La pompa a infusione è lenta, 80-120 millilitri l’ora. Per mia scelta ho deciso un’unica somministrazione giornaliera. Comincio alle 6 di sera e finisco alle 2 di notte.
In pratica che accade nell'uomo? Per motivi ignoti, nei motoneuroni interviene un accumulo abnorme di glutammato, l'aminoacido usato dalle cellule nervose come segnale chimico. Questo effetto citotossico viene contrastato da un unico farmaco, il Riluzolo. Esiste solo dal 1996 e va assunto precocemente.
Lavorare in ospedale la rassicura? È casa mia.
A che ora arriva? Alle 9. Prima restavo fino alle 19. Ora alle 16 sono esausto. Mi riportano a casa e resto a letto fino alla mattina dopo.E i malati costretti in casa tutto il giorno?Sì sentono murati vivi. Anch'io all'inizio mi sono isolato dal mondo per otto mesi. Ho pensato al suicidio assistito, ho anche telefonato alla Dignitas in Svizzera per informarmi sulle modalità. Ma poi mi sono detto: uè, Mela, e questo il messaggio che vuoi lasciare a chi ti ama, un gesto d'egoismo? Così sono entrato come una formichina dentro l’Aisla, l'associazione dei 4.500 italiani affetti da questa malattia anarchica che non ha una topografia e trasforma ciascuno di loro in un caso unico. Il professor Paolo Rebulla, responsabile della Biobanca italiana dove vengono raccolti gli embrioni in sovrannumero, ha detto: «Non esiste al mondo una sola ricerca sulle cellule embrionali che si possa assodare a procedure applicabili con successo all'uomo. C'è una cellula staminale embrionale che curi il Parkinson? No, che io sappia. Una che curi l'Alzheimer? No. Una che curi il diabete? No». Lo penso anch’io. Semmai la speranza va riposta nelle staminali adulte.
Ha mai sperato in un miracolo? Ho sempre pregato. Ma non ho chiesto la grazia della guarigione. Lui sa quali sono i miei bisogni.
Pensa che ci siano malattie peggiori della Sla? Sì. L'Alzheimer, per esempio. Sa che fortuna ho a poter contare su un cervello che ancora funziona? Oddio, magari se fossi stato un operaio della Fiat oggi mi ritroverei a casa, con una pensione d'invalidità, a maledire il mondo. La Sla non è come la tetraplegia che ti trasforma in un legnaccio. Conservi le funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinteriali. Però diventi un contenitore. E ogni giorno ti accorgi che qualcosa nel corpo sì spegne.
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